Quanto segue, in risposta a un interessante post di un'interessante persona: qui.
In matematica, all'interno di una relazione tra valori di grandezze A e B (valori che sono legati: il variare dell’uno si porta appresso il variare dell’altro), un limite L è un valore cui quelli della grandezza B si possono avvicinare tanto più, quanto quelli della crandezza A si avvicinano a un altro valore: a.
Anche nel caso in cui né A né B possono assumerli, questi valori, a ed L. In quest’ultimo caso Il limite (di B, per A che tende ad a) è la possibilità di avvicinarsi a qualcosa (meglio pensarla per “salti” successivi, piuttosto che in movimento) senza raggiungerlo mai.
La matematica ci può quindi insegnare che il limite dell’uno è stabilito dal limite dell’altro? Che non ha senso parlare di limite né fuori dalle relazioni, né in senso assoluto? Questo, forse, può essere il passo più interessante: limitarsi dev’essere un’azione reciproca e non unilaterale e dev’essere una possibilità, non una costrizione.
Mi limito assieme a te: interagendo con te e per tendere a qualcosa di meglio per entrambi, non per togliermi qualcosa da dare a te, o viceversa: mi limito se e solo se significa arricchirmi, arricchirci, crescere. Non per diminuirmi, diminuirti o diminuirci.
Chi poi volesse una trattazione seria sull'argomento, può consultare la sezione: "analisi" (Liceo Linguistico o Liceo Scientifico) dell'area: MATEMATICA. |